E se la chiave per comunicare meglio tra i popoli fosse racchiusa nei nostri rapporti di coppia?
Lavorare in ambienti internazionali è sempre stato per me come sentirmi a casa, un’esperienza familiare e straordinaria.
Ho avuto il piacere e la fortuna di lavorare con colleghi, amici dalle più svariate parti del mondo dagli USA al Kazakistan, dall’India all’Olanda.
Le sfide, gli aneddoti e le esperienze vissute sono state molteplici, ma ciò che mi ha sempre affascinato è stata la diversità nei modi di comunicare.
Con il mio amico Oggi, giapponese, abbiamo condiviso minidisc e assaggiato le nostre rispettive cucine fin dai primi giorni della nostra amicizia, ma la nostra prima conversazione significativa è avvenuta solo sei mesi dopo il nostro primo incontro.
Con Vasant, indiano, abbiamo condiviso fin da subito lo stesso senso dell’umorismo sarcastico e pungente, che a molti risultava incomprensibile. La nostra collega nigeriana cercava di placare gli apparenti litigi, spesso confondendo le nostre battute con reciproci insulti.
Con ciascuno dei miei amici e colleghi ho cercato sempre di adottare un approccio diverso, per garantire chiarezza e comprensione reciproca.
Lo ammetto, non sempre al meglio, le gaffe e figuracce non sono mancate, e ho adottato nel tempo un modello naturale, istintivo di relazionarmi.
Fino a quando, …non mi hanno suggerito di leggere “La Mappa Delle Culture” di Erin Meyer, un libro che analizza in modo intelligente e chiaro le differenze culturali in contesti internazionali e multiculturali.
Un cartina ben tracciata per districarsi nel dedalo dei rapporti internazionali e che ha messo luce su anni di esperienza e relazioni.
L’autrice identifica 8 scale di distinzione tra le varie culture, ogni scala rappresenta una chiave di lettura per essere consapevoli della loro diversità.
E ogni cultura varia in base a dove si colloca sullo spettro di queste scale.
Comprendere dove la nostra cultura si colloca, così come quella dei nostri interlocutori internazionali è cruciale per relazionarsi in modo efficace e puntuale.
La prima scala è la Comunicazione.
In un estremo ci sono i paesi a basso contesto. Qui una buona comunicazione è precisa, esplicita, chiara, semplice. Si predilige la ripetizione.
In quest’area ci sono gli Stati Uniti. Chi di voi ha mai seguito un corso “Americano” avrà notato la struttura del discorso che si sviluppa, nella maggior parte delle volte in:
Ti dico cosa ti dirò
Ti dico quello che devo dirti
Ti ripeto in breve quello che ti ho detto.
E’ un modello che per noi italiani, a volte sembra banale, ripetitivo, quasi offensivo.
….Per questo noi siamo posizionati a metà della scala.
All’estremo opposto si colloca il Giappone. Qui una buona comunicazione è fatta da quanto non viene detto più che da quanto viene esplicitato.
Si parla di comunicazione ad alto contenuto, sofisticata, sottintesa, mai detta apertamente.
La motivazione di questa differenza è nella età e storia dei vari paesi .
Culture a basso contesto sono frutto di società con una lunga storia condivisa. Il Giappone è una società insulare con una popolazione omogenea e per migliaia di anni sono stati isolati dal resto del mondo. In quel lungo periodo le persone sono diventate molto brave a condividere i reciproci messaggi.
Allo spettro opposto gli USA sono una nazione giovane, mix di culture diverse, storie e lingue. Nella loro storia, per poter passare un messaggio hanno compreso che dovevano renderlo il più chiaro ed esplicito possibile, con poco spazio per ambiguità e malintesi.
Se le varie culture fossero delle coppiette sposate, avremo:
Da un lato i giovani innamorati, che sono insieme da pochi mesi. Si sentono ogni ora. Si raccontano tutto. Si dichiarano frequentemente per assicurarsi che il loro amore e le loro intenzioni vengano comprese correttamente;
Dall’altra parte c’è la coppia dei nonni Giapponesi. Hanno vissuto una vita insieme. Si capiscono con uno sguardo, un gesto, un impercettibile movimento. Sanno cogliere le sfumature del detto e del taciuto.
Naturalmente, in contesti multiculturali, un approccio “misto” non è fattibile, quasi impossibile. E per questo meglio dirigersi verso una comunicazione esplicita, a basso contesto.
Per evitare che “nel non detto” si creino spiacevoli incomprensioni.
Affascinante vero?
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