Un recente post di Enrico Zanieri (che ringrazio e metto il link del suo post nei commenti qui sotto) mi ha riportato alla mente una nota sui “talenti” che tempo mi ero appuntato sul mio reMarkable.
Partiamo da quanto propone Enrico: “Varrebbe la pena fare una riflessione collettiva, partendo dal fatto che smarcare task a più non posso rappresenta forse “una” capacità, ma non la definizione piena di quello che è, veramente, un “talento”.
Concordo al 100%.
Avendo avuto la fortuna di lavorare con tanti giovani talenti, ritengo che la capacità di essere produttivi sia oggi una conseguenza di un insieme di attributi, caratteristiche del talento, che portano come risultato il saper lavorare in maniera smart e produttiva.
E quindi è talentuoso chi sa usare nuovi strumenti, chi è aggiornato, chi ha sviluppato una rete parallela a quella dell’azienda che gli permette di avere disponibile, nella propria cassetta degli attrezzi, strumenti e strategie che può usare per migliorare le sue performance, quelle dei colleghi, quelle dell’azienda.
Ma non è tutto o, meglio, è solo una parte, perché,
Per iper -semplificare, il talento, specialmente nei giovani alle prime esperienze nel mondo del lavoro lo riconosco come un mix dei seguenti comportamenti ed attitudini.
- Curiosità: È sinceramente curioso, fa domande, mostra attenzione, e ha piacere nell’imparare qualcosa di nuovo. Si confronta.
- Educato e gentile: Saluta, sorride, alza la testa dallo schermo quando si parla.
- Metodo di lavoro: Prende nota, fa dei recap, è ben organizzato e rispetta le scadenze.
- Comunicazione efficace: Comunica in maniera efficace e si accerta che gli altri abbiano compreso. Non è polemico. Sa anche dire di no, portando le giuste motivazioni e alternative.
- Consapevolezza di sé e del contesto: È consapevole di sé stesso e di quello che succede intorno a lui.
- Proattività: Porta il suo punto di vista e le sue possibili soluzioni.
- Costanza e tenacia: Va oltre la motivazione, è costante e tenace.
- Mentalità forte: Si prende le sue responsabilità, non scarica la colpa sugli altri, sul sistema, o sull’universo ostile. Non la prende sul personale. Sa accettare una sconfitta per trarne un insegnamento.
- Relazioni: Sa relazionarsi con i colleghi, coinvolgerli, e ha un vasto network di relazioni, anche esterne all’azienda, con le quali si confronta e dalle quali porta nuovi, diversi punti di vista.
- Gestione del cambiamento: Sa gestire il cambiamento, si adatta, e evolve.
È una lista bella ricca lo so!
E magari ad avere bandierina verde su ogni punto.
Siamo spesso spinti a pensare che alcuni fortunati tra noi abbiano, nel loro DNA molti di questi attributi, e per questo esistono solo talenti innati.
Un tempo lo pensavo anche io, ma con gli anni ho, in parte, cambiato idea.
In parte, perché (anche) nel lavoro, i talenti, veri e puri esistono, eccome! Geni del calcolo, segugi dell’opportunità, visionari concreti e inafferrabili, strateghi del futuro, trascinatori di masse, divulgatori dell’immaginario. Diamanti luccicanti, solidi e fonte d’ispirazione.
Ma ho anche visto e sperimentato in prima persona che il talento può essere coltivato e sbocciare lì dove prima sembrava ci fosse solo terreno non fertile.
Anzi va coltivato, dando alle giovani risorse i giusti strumenti e metodologie.
Allora potremo assistere al nascere di nuovi talenti.
Un albero che cresce in ognuna di quelle dieci aree qui sopra, ben presto può diventare una foresta rigogliosa.
Varrebbe la pena fare una (altra) riflessione collettiva, come dare ai giovani gli strumenti per uscire dal bozzolo e far emergere i loro “talenti potenziali” nel lavoro?